Da ormai una decina di anni il coaching è emerso dall’ambito sportivo in cui era nato, diventando una disciplina di comunicazione che, rivolgendosi ad un individuo o ad un gruppo, ha lo scopo di aiutarlo a ottenere risultati ottimali in ambito lavorativo e personale.
In particolare, il coaching manageriale è orientato allo sviluppo dei talenti, con l’obiettivo di fare emergere a pieno le potenzialità degli individui a vantaggio di una competenza da sviluppare o di un risultato da migliorare, si differenzia perciò dagli interventi di consulenza, normalmente rivolti alla risoluzione di specifici problemi, e dalla psicoterapia che intende curare disturbi o disagi psicologici.
Il coaching individuale si caratterizza per un rapporto esclusivo tra due persone: il coach e il coachee (manager, atleta, personaggio dello spettacolo, ecc.), in cui il primo stimola il secondo a focalizzare i propri obiettivi e priorità e lo supporta, in termini prevalentemente motivazionali, nel mantenere e portare a termine il programma stabilito.
L’elenco delle diverse definizioni ed applicazioni di coaching potrebbe allungarsi a dismisura, ma qui si vuole focalizzare l’attenzione su un particolare evento aziendale che necessita di guida e motivazione: il ricambio generazionale ai vertici.
Non si parla dell’avvicendamento, in organizzazioni articolate, di dirigenti in età pensionabile con altri più giovani, bensì dell’inserimento nelle piccole e medie imprese dei figli (o parenti prossimi) dell’imprenditore con l’obiettivo di sostituirlo, in tempi più o meno lunghi, nel ruolo di direzione aziendale.
Nel tessuto industriale nazionale, formato da una miriade di piccole e piccolissime realtà, questo avvenimento è molto comune e spesso innesca situazioni critiche in azienda ed in famiglia.
Infatti, i giovani possiedono competenze diverse dai padri e spesso hanno acquisito una scolarità superiore, ma sicuramente non hanno l’esperienza, il carisma e la carica emotiva di chi ha fondato e portato al successo l’impresa.
Di qui l’opportunità di affiancare al giovane aspirante capitano d’industria un coach che lo guidi in un percorso di autosviluppo con l’obiettivo di fare emergere potenzialità e risorse da utilizzare nei futuri contesti e situazioni in cui verrà chiamato ad assumersi importanti responsabilità.
Il coach dovrà in primo luogo saper individuare e riconoscere la presenza di eventuali blocchi emotivi, cognitivi o comportamentali dovuti sia al confronto con l’attuale dirigenza che all’inesperienza e percezione di inadeguatezza tipici del neofita, tali blocchi possono impedire il completo esprimersi delle risorse personali del giovane.
È indispensabile che il coach disponga anche di conoscenze e strumenti capaci di facilitare, nel modo più efficace e veloce possibile, il superamento di tale blocchi, qualora questi risultino di limitazione all’emergere dei talenti della persona.
L’intervento di coaching deve saper guidare il giovane nello sviluppo dei propri talenti in vista del raggiungimento di specifici obiettivi e lo deve fare nel modo più rapido ed efficace possibile. Ecco quindi che i criteri pragmatici di efficacia ed efficienza si configurano come elementi fondamentali nella scelta del modello di intervento da attuare.
Infine il professionista dovrà innescare nel giovane cliente il bisogno di diventare coach di sé stesso.
Infatti, costruendo attivamente la propria personalità, una volta acquisite le conoscenze strategiche necessarie ed esercitate le abilità essenziali, il giovane può diventare non solo capace di evitare pericolose trappole mentali, ma potrà guidare se stesso in un percorso che gli permetta di uscirne rapidamente nel caso in cui vi sia rimasto intrappolato.
Il giovane dovrà quindi diventare un dirigente creativo e flessibile, oltre che rigoroso e disciplinato, che sa padroneggiare la comunicazione persuasoria e riesce a guidare se stesso e gli altri al di là dei propri limiti.